Giungendo alla foce del Borbera, dove il torrente termina il suo percorso gettandosi nelle acque dell'Olubria, antico nome romano del torrente Scrivia, ci troviamo di fronte all'area di scavi archeologici di Libarna.
Tutto iniziò con la realizzazione della via Postumia, una strada consolare romana fatta costruire nel 148 a.C. dal console romano Postumio Albino nei territori della Gallia Cisalpina, l'odierna Pianura Padana, per scopi prevalentemente militari.
Lunga 634 miglia romane, corrispondenti a 939,4 chilometri, congiungeva i principali porti romani del nord Italia: Genova e Aquileia.
Il territorio, dapprima abitato dai Liguri Dectunini in un villaggio posto sulla riva sinistra del torrente Scrivia, fu uno dei quindici oppida (abitati fortificati) conquistati dal console Quinto Minucio Rufo nel 191 a.C.
La via Postumia attraversò quell'area divenuta nel frattempo la città di Libarna: da non confondersi con l'attuale frazione di Libarna, nel comune di Serravalle Scrivia, mezzo chilometro più a nord.
Si trasformò presto in un importante centro economico e sociale. Ottenuto il riconoscimento giuridico della cittadinanza latina, fu eretta a colonia soltanto più avanti nel I secolo d.C., quando raggiunse il massimo splendore.
Fu capoluogo autonomo di un vasto territorio che confinava a est con Velleia, a sud con Genua, a ovest con Aquae Statiellae (Acqui Terme) e a nord con Derthona. Situata in una zona particolarmente fertile, l'economia agricola era fondata sulla viticoltura, sulle colture arboricole per lo sfruttamento del legno e sull'allevamento del bestiame. Tra le altre attività dell’epoca si annoverano la produzione della ceramica e l'industria laterizia.
Caduta in declino in seguito alle invasioni barbariche, fu definitivamente abbandonata nel 452, quando gli abitanti lasciarono le case ormai insicure, rifugiandosi sulle colline circostanti, aggregandosi alle comunità esistenti o fondandone di nuove, quali Precipiano (oggi Vignole Borbera), Serravalle, Arquata e Curtis Nova, che corrisponde all'attuale città di Novi Ligure.
Ricordata ancora in alcuni documenti del monastero di Precipiano e del catasto di Varinella (frazione di Arquata Scrivia) del 1544, se ne perdette ogni memoria, divenendo incerto perfino il luogo della sua ubicazione.
Fu identificata dal Settecento con varie località del Bobbiese e del Tortonese ma solo nel secolo XIX, in corrispondenza dell'affiorare alla luce dei resti, grazie all'opera dell'abate Bottazzi, veniva accertato il suo inquadramento storico-topografico. Questo in conseguenza dei lavori della cosiddetta strada regia (odierna Strada statale 35 dei Giovi) destinata a collegare Genova, da poco entrata nel Regno di Sardegna, con la capitale Torino, a partire dal 1820.
Sono stati riportati alla luce due quartieri in prossimità dell'anfiteatro, di 60 x 65 m di lato, e del teatro. I reperti di scavo sono per la maggior parte conservati nel Museo di antichità di Torino, dove figurano tra le opere di maggior pregio: pavimenti musivi, marmi, bronzi e ambre figurate.
La città sorgeva su un terreno pianeggiante, ricco di acque, circondato da colline. Era attraversata in senso longitudinale dalla via Postumia, che ne costituiva il principale asse da nord-ovest a sud-est. Altro asse principale era il decumano che, orientato da sud-ovest a nord-est, conduceva all'anfiteatro.
Le strade dividevano la città in tanti spazi di forma tendenzialmente quadrata, ma di dimensioni differenti. Esse erano lastricate, rettilinee con collettori di scarico convogliati verso l'odierno rio della Pieve. La città riceveva acqua tramite un acquedotto, era ricca di sorgenti, pozzi e fontane.
Nel punto di incontro tra le due principali vie, sorgeva il foro, grande piazza lastricata su cui svettavano portici ed edifici: un'area finora solo parzialmente esplorata. Le terme erano situate nell'estremo settore nord-est e verso il limite settentrionale sorgeva il teatro.
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